Trieste Holmavik

Ti racconto una storia,   dal Friuli Venezia Giulia e dall'Islanda

Trieste Holmavik


Il cacciatorpediniere Audace ha solcato migliaia di leghe prima di arrivare a Trieste. E dopo aver scortato perfino il Re Vittorio Emanuele II, oggi giace inabissato sul fondo del mare, incrostato dal tempo, rifugio di pesci, alghe e di qualche temerario sub.
In superficie, il Molo Audace ne ricorda la memoria.

Nonostante la nave fosse una macchina da guerra, niente in questo posto fa pensare ad eventi tragici, anzi il Molo è uno dei luoghi più pacifici e suggestivi che si possano desiderare: un prolungamento della terraferma, lungo oltre 200 metri, dove i triestini si innamorano e si lasciano ad ogni tramonto.

Stranamente non tira vento. Lì dove di solito la bora scompiglia e stordisce tutto, oggi c’è calma assoluta. Cammino verso l’infinito, la fine del molo sembra non arrivare mai, ma io non ho fretta di arrivare in fondo. Mi godo questa strana propaggine che si lancia nel mare, sembra come se da una navicella aliena fosse sbucato un lunghissimo braccio che si protende teso verso l’esterno.

Il cielo cotonato si tinge improvvisamente e letteralmente di rosa antico. Sembra cipria. Avvolge tutto quello che vedo in una atmosfera surreale e crepuscolare, svuotata dall’assenza di vento. Sembra quasi un colore artificiale, si sa la Natura crea magie e il molo si trasforma in giardino fiabesco, dove tutto è armonioso e giocoso. 
Decido di fermarmi e di sdraiarmi schiena a terra, perché voglio godermi questo cielo. Il rosa diventa quasi fucsia, mi sovrasta come un dipinto rinascimentale. Chiudo gli occhi perché devo riuscire ad immaginarmelo anche senza vederlo. Resto così non so per quanto tempo. 
Mi emoziono e mi commuovo.

Mi sveglio all’improvviso. Mi ero addormentata? Osservo le pareti verdastre della tenda, mi sembra di scorgere una grande luce ma non ci capisco molto, è un bagliore anomalo. Mi guardo intorno per riconoscere gli oggetti a me familiari: le borse, un po' di cianfrusaglie, il sacco a pelo, un leggero disordine. Tutto sembra illuminato da una torcia con le pile usurate, una fiaccola obliqua.

Esco dalla tenda e vengo investita da un chiarore atipico, come se il paesaggio fosse illuminato da una lampadina a basso voltaggio di colore rosaceo. Mi stropiccio gli occhi: forse sto ancora dormendo e non vedo bene. Che ore sono? Guardo l’orologio, sono le 02:45 di notte. No, non è possibile, c’è qualcosa che non torna. Ricontrollo meglio, ma sono proprio le tre meno un quarto, io sono qui a Holmavik, in Islanda, e questa è la mia prima notte d’estate. L’oscurità non esiste, tutto attorno è imbevuto di questa tinta color fiaba.

Non resisto, corro verso il porto. Stranamente non c’è vento. Qui, dove di solito il vento islandese scompiglia e stordisce tutto, c’è calma assoluta.
Vado sul molo. Non è lungo come l’Audace ma mi lancio verso la sua fine, perché da lì posso osservare questa fantastica baia delimitata da miriadi di isolette montuose che si sono colorate ora di fucsia. Qui i ragazzi del villaggio vengono ad innamorarsi e a lasciarsi ad ogni alba.
Mi siedo e rimango stupefatta ad osservare non so nemmeno io per quanto tempo.
Mi emoziono e mi commuovo.

3820 km separano Trieste da Holmavik, ma una luce aliena le ha unite per sempre nel mio ricordo.

VA
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